Armella critica con la Commissione Ue per l’accordo sui dazi
Plauso di Confetra quantomeno alla riduzione dell’incertezza, ma occorre liberalizzare i servizi, armonizzare le normative e ammodernare le infrastrutture
“Si tratta di un accordo più conveniente per gli Stati Uniti che per l’Italia, con il 75% dei nostri prodotti che, dal 1° agosto, passa da un dazio zero o inferiore al 5% al nuovo dazio del 15%”.
Lo rileva Sara Armella, avvocato, docente e rappresentante italiano presso la Commissione Customs and trade facilitation della Camera di Commercio Internazionale di Parigi: “Teniamo presente che, prima della guerra commerciale, l’aliquota media statunitense sui prodotti europei era dell’1,47%, circa il 50% dell’export italiano verso gli Stati Uniti prima di aprile entrava duty free, mentre il 25% aveva un dazio molto basso, compreso tra lo 0 e il 5%: il dazio sul prosciutto, per esempio, passa dal 6,4% al 15%, gli abiti passano dallo 0 al 15%, così come molte macchine agricole”.
Delusione nelle parole di Armella: “Considerato che Stati Uniti ed Europa condividono la più grande relazione economica del mondo e che l’Unione europea rappresenta il più grande blocco commerciale mondiale, ci si attendeva un’intesa più reciprocamente vantaggiosa, analoga a quella del Regno Unito, con dazi al 10%, mentre il risultato raggiunto ci affianca al Giappone, pur essendo l’Europa un alleato storico degli Stati Uniti, che aveva già fatto concessioni importanti, come l’impegno a incrementare le spese militari al 5% del Pil e l’esenzione delle multinazionali americane dalla Global minimum tax. Ma tutto questo non è servito, forse anche per la strategia europea di non adottare immediate contromisure e lasciare, invece, spazio alla diplomazia”.
Preoccupante la prospettiva economica: “L’accordo raggiunto avrà effetti importanti per le esportazioni italiane, considerato che gli Usa sono il primo mercato di destinazione del nostro export e che, secondo il Centro studi Confindustria, le nostre vendite negli Usa si ridurranno di 22,6 miliardi, perdendo oltre un terzo del valore delle esportazioni nel mercato statunitense, con un impatto stimato di cerca mezzo punto di Prodotto interno lordo”.
Nemmeno la ‘consolazione’ della stabilità sbandierata dalla Commissione Ue consola Armella: “Se l’obiettivo dell’accordo era di evitare incertezza per le imprese, va rilevato che non è definitivo, avendo natura di un’intesa sui principi generali per i futuri rapporti commerciali, che difficilmente saranno formalizzati in un trattato. Tra gli aspetti più controversi, vi è il perimetro delle esenzioni, le tariffe “zero per zero”, annunciate su aeromobili e componenti, “certi prodotti chimici”, alcuni semiconduttori, “certi prodotti agricoli” e alcune risorse e materie prime critiche, lasciando molta indeterminatezza sull’estensione di questi settori a dazio zero, anche per i prodotti europei. Tra le questioni irrisolte dell’azzeramento dei dazi nell’Ue c’è quella dei liquori e dei vini, ha confermato Von der Leyen alla stampa. Inoltre, Il presidente degli Stati Uniti ha annunciato che l’Uu azzererà i dazi sulle importazioni di prodotti statunitensi, lasciando intendere che questo esonero riguarderebbe tutti i settori”.
Considera positiva quantomeno la fine dell’incertezza, invece, Carlo De Ruvo, Presidente di Confetra: “La notizia dell’accordo sui dazi tra Unione Europea e Stati Uniti contribuisce a ridurre un clima di incertezza che penalizza imprese e investimenti. Questo lungo negoziato ha evidenziato la fragilità dell’Europa, schiacciata tra Stati Uniti e Cina. Per uscire da questa situazione occorre ora intervenire sulle nostre debolezze, a partire dalle barriere commerciali interne che continuano a ostacolare il pieno sviluppo del mercato unico e, con esso, la nostra capacità di stare al passo con le grandi economie globali”.
Il riferimento è un must per De Ruvo: “Secondo il Fondo Monetario Internazionale le attuali barriere interne equivalgono a un costo ad valorem del 44% per i beni manifatturieri e addirittura del 110% per i servizi. Sono costi nascosti che si riflettono in minore concorrenza, prezzi più alti, bassa produttività e redditi inferiori. La produttività complessiva dell’UE è oggi più bassa del 20% rispetto agli Stati Uniti, e anche nelle economie europee più forti il reddito pro capite è inferiore di circa il 30% rispetto alla media americana”.
Per Confetra, serve un cambio di passo deciso. “Il Fmi ci ricorda che una riduzione del 10% delle barriere interne al commercio e alla produzione multinazionale potrebbe generare una crescita del Pil europeo del 7%. Questo significa aprire i settori ancora protetti, liberalizzare i servizi, armonizzare le normative e ammodernare le infrastrutture di frontiera. L’Europa ha le carte in regola per rafforzare il suo ruolo nello scenario globale ma servono scelte coraggiose e riforme strutturali. Il mercato unico deve tornare al centro della strategia europea: è lì che si gioca la vera sfida della competitività e dell’autonomia industriale del nostro continente”.
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